senso

Tramite la mia azione, si è creata una grandissima possibilità: quella di riconsiderare quello che vuol dire essere “malato”. Invece di dire “mi dispiace” e “poverino” tante persone hanno ben pensato di attivarsi e di propormi quello che sanno, quello che immaginano, quello che desiderano, spingendosi anche a inventare progetti, esperimenti, azioni artis

tiche, azioni scientifiche e tante altre cose. Oltretutto parlando anche tra di loro.

Sono emerse tantissime indicazioni che vanno ben oltre la “diagnosi” e la “cura” che ti può proporre un medico.

Allo stato dei fatti, la mia “cura” di adesso, quella su cui sto basando la mia vita, si basa sul fatto che un paio di centinaia di persone, in tutto il mondo, mi hanno aiutato attivamente a organizzare e scegliere tra le “proposte” di più di qualche migliaia di persone.

Ad oggi la mia “cura” si basa su questa scelta e, in particolare, sull’azione coordinata che siamo riusciti a mettere su tra un neurochirurgo, un oncologo omeopatico, un centro macrobiotico, un dottore di medicina cinese, un esoterico ebraico e tanti, tanti ricercatori. Tutto tirato su in un ambiente vivo, sociale, creativo e bello.

Nulla a che vedere con quel che succede di solito quando qualcuno diventa “malato” – e le ore di risate che ci facciamo e l’evidenza *scientifica* di quanto facciano bene per superare le varie patologie.

Io, ovviamente, non mi aspetto nulla.

Questa cosa non è nata, ovviamente, con spirito utilitarista.

Questa per me è una affermazione, una performance, su come siamo cambiati, su come potremmo cambiare, sul fatto che, con tutta probabilità, le scelte migliori (non solo in medicina) si potranno fare non da soli o parlando con una “autorità”, ma entrando in un ambiente umano pieno di punti di vista e ragionando sui corpi, sui desideri, sugli immaginari e sul desiderio di trovare nuovi modi (oltre la/le crisi, vien voglia di dire) di vivere, in cui le “autorità” sono solo una delle voci in campo, e il resto emerge da sè, con tutti i “pericoli” e le “difficoltà” e le “responsabilità” che questa modalità comporta.

Questo, e il fatto di come sta prendendo forma, dei mezzi che utilizza, degli spazi in cui si muove, delle energie che riesce a smuovere, dei nervi scoperti che riesce a toccare, e delle risate e lacrime che ci fa fare è la performance, è la Cura.

Poi come andrà a finire non lo so. So solo che sto bene. So solo che mi si aprono davanti tante scelte invece che una sola. So solo che si mette in dubbio la definizione di “sapere”, trasformandola in qualcosa di attivo invece che passivo. So solo che si diventa obbligati a prendersi la responsabilità delle proprie azioni, invece che delegare. So solo che si diventa più combattivi in un modo più intelligente, positivo e gioioso, invece che star lì ad accettare tutto quello che viene.