Nel 1516 a Leuven Erasmo pubblica “Utopia”, il più famoso e controverso libro di sir. T. More.
Tanto che oggi ancora ne parliamo. Tanto che Utopia è considerato forse il primo romanzo moderno. Tanto che questo libro ha dato vita ad un nuovo genere letterario: il romanzo utopico/distopico, ad oggi in piena salute.
La Cura ha celebrato questo straordinario anniversario con il suo approccio interconnettivo insieme a Matera.
Scopriamo insieme i contorni di una settimana epica in cui, dal 19 al 24 settembre la città dei sassi futura Capitale Europea della Cultura, è diventata il teatro di un neo-rituale ubiquo per celebrare utopie inteconnettive.
Buon viaggio.
“Matera è abitata dagli esseri umani in modo continuativo da oltre 6.000 anni: uno dei siti più antichi al mondo, luogo di rocce e rituali stratificati nei millenni, nel confronto/conflitto perenne fra natura e umanità. Confronto che si misura ancora nella festa annuale della Bruna, con lo strazzo del Carro: ci partecipo ogni anno da quando mi sono trasferito qui.”
Sono fra le prime cose che ci racconta Emmanuele Curti, archeologo e nuovo compagno di Cura che abbiamo scoperto dalla pubblicazione del libro.
Vogliamo fare qualcosa insieme, e farlo a Matera.
L’occasione è offerta da Materadio: la kermesse di musica e cultura, organizza Radio3 da 6 anni in città a fine settembre, ha come tema l’Utopia.
Click. Il concept si delinea velocemente
A 500 anni dalla pubblicazione di Utopia, vogliamo giocare di nuovo con il linguaggio, e con i luoghi.
Utopia è un neologismo dal greco, da “ou” (suffisso di negazione, “senza”) ed “eu” (“buono), insieme a “topia” (“topos”, luogo). Una società perfetta, ma senza luogo che sancisce la sua impossibilità di esistere.
Siamo davanti a questa contraddizione, la osserviamo.
Che succede se barriamo la “U”?
Il luogo improvvisamente riappare. Non uno: migliaia, centinaia di migliaia di luoghi (e la loro utopia) possono esistere. Luoghi che nascono dalle parole e dalla moltiplicazione delle parole.
UTopia è la creazione collettiva e connettiva di un dizionario per immaginare e moltiplicare futuri possibili. E di una performance.
Un neo-rituale che, innestandosi sulle tradizioni della città, dialoghi e interagisca con i corpi e lo spazio pubblico.
Come nel 2012 La Cura ha riposizionato la malattia al centro della società, ora sono l’utopia e un dizionario ad aprirsi al mondo per essere risemantizzati.
Il progetto ci emoziona e abbiamo il via dalla Fondazione Matera-Basilicata 2019. Ci prepariamo quindi per settembre: tutto avverrà nella settimana dal 19 al 25, in concomitanza con Materadio.
La prima parte del progetto ci vede impegnati nella creazione di una piattaforma che consenta a chiunque di creare lemmi.
Il meccanismo è semplice: basta sostituire la “U” con una qualsiasi parola, esistente o immaginaria. I lemmi andranno descritti e possibilmente localizzati, a creare una geografia di parole.
Il dizionario non ha filtri, chiunque può partecipare.
Chiunque può essere creatore di parole e, nel processo, riappropriarsi della funzione generativa del linguaggio.
La piattaforma verrà lanciata a Matera prima del rituale.
Coinvolgiamo in questa fase i nostri network: artisti docenti, curatori e persone vicine all’universo della Cura a cui chiediamo di scrivere i primi lemmi.
Saranno (in ordine alfabetico) Agnese Addone, Elisabetta Angella, Lavoslava Bencic, Mario Bernaudo, Beatrice Bianchini, Anna Lucia Cagnazzo, Christian Caliandro, Gianluca Caporaso, Anna Chiara Cimoli, Coltivatori di Musica, Stefania Crobe, Marzia Ercolani, Clementina Gentile Fusillo, Alberto Gomez, Dogu Gundogu, Milijana Komad, Ami Licaj, Ciccio Mannino, Caterina Martucci, Municipal Foundation Plovdiv 2019, Paolo Naldini, Naz Onen, Greta Petračić Benčić, Nicoletta Raffo, Catterina Seia, Urška Spitzer, Jasmina Tesanovic, Eugenio Tisselli, Maria Venditti, Alessia Zabatino e Salvatore Zingale i primissimi creatori di UTopie.
Dopo la piattaforma, l’immaginario. Creiamo delle cartoline da distribuire nei giorni dell’evento per raccogliere in modalità analogica i lemmi.
Lo sfondo di UTopia diventa la collina di Hollywood, luogo non-luogo, regina del fake e della fiction che tante volte ha scelto Matera come set.
Le due “o” sostituite con la “U” barrata: HollywUd.
Immagini e linguaggio giocano insieme, si sovrappongono, flirtano.
Ne stamperemo 3.000.
La seconda fase del progetto si svolge tutta in città.
Con i laboratori entriamo nel vivo dell’azione.
Dal 19 al 22 settembre ci aspettano giorni senza pause: le HollywUd appena state stampate sono il segno tangibile che il progetto è iniziato.
Il primo laboratorio coinvolge due giovani mastri artigiani materani: Massimo Casiello, artista nella tornitura del legno, e Raffaele Pentasuglia, artista nella cartapesta e nella modellazione dell’argilla. Per una settimana lavorano alacremente alla creazione di una grande “U” di cartapesta: l’oggetto simbolico del rituale.
La “U” inizia da subito a fare delle apparizioni in Città e sui social network suscitando curiosità e domande: si sono visti tanti carri in città, ma questo cos’è? Di che si tratta?
Nessuno sa darsi una risposta e sulla “U” c’è un silenzio top secret.
Quando arriviamo a Matera, domenica 18 settembre, la scultura di legno e cartapesta è quasi ultimata: è alta 2,2 metri, con una base e dei pali che ne consentono il trasporto, proprio come una vara.
Bianca, semplice e maestosamente tipografica, abbellita con alcuni fogli di giornale sui lati, dove sono apposte due fessure, la “U” è un monumento alla galassia Guttemberg e alla nascita della stampa a caratteri mobili che esplodeva proprio 500 anni prima con tutte le sue conseguenze…
Ci sembra bellissima.
Il secondo laboratorio si svolge tutto nelle sedi del Conservatorio E. Duni, che diventa il quartiere operativo di UTopia.
Incontriamo il prof. Fabrizio Festa e la sua classe di Musica Elettronica Applicata che ha dato vita a Materelettrica. E’ il momento in cui nasce una piccola equipe temporanea composta da persone che non si sono mai viste prima: Materelettrica (rappresentata da Antonio Colangelo e Marcello Laquale, con il coordinamento di Fabrizio festa), Art is Open Source/La Cura (Salvatore Iaconesi) e Concrete425 (Tommaso Cappelletti e Guglielmo Torelli).
Il gruppo ha davanti una sorta di mission impossible: 6 giorni per conoscersi e creare insieme, dal concept, una performance di projection mapping e una colonna sonora che scandiscano il rituale.
Combattendo con una connessione capricciosa, sabato 24, in tempo per la fine del concerto di Materadio, tutti i materiali saranno pronti.
L’ultimo laboratorio si svolge in piazza.
E’ l’interfaccia con la città che inizia a manifestare UTopia nello spazio pubblico: un passaggio fondamentale nell’architettura della performance, che traduce in forma fisica e tangibile il riposizionamento dell’utopia e del dizionario al centro della società.
Coinvolgere delle scuole è quasi naturale, protagonisti gli studenti del Liceo Artistico e Classico E. Duni, e un gruppo di docenti: partecipano dal 19 al 22 settembre con un entusiasmo difficile da descrivere. Il tutto fuori dall’orario di lezione.
Il laboratorio è concepito come un luogo aperto, di attraversamento.
Ogni giorno dalle cinque di pomeriggio, non solo gli studenti, qualsiasi cittadino, passante, turista (un “cittadino temporaneo”) può entrare e partecipare, basta la curiosità.
Il cuore dell’azione è Piazza Vittorio Veneto, una grande piazza cittadina, complessa e policentrica, dove una architettura temporanea appare e scompare per ospitare UTopia: è l’Iglu de Vent dell’artista catalano Jordi Enrich, uno “spazio per l’immaginazione” con le parole dell’autore, che esiste e al contempo non esiste, creato in modo collaborativo dai partecipanti e completamente adattabile.
Il lab, con la sua architettura mobile e sognante – una mongolfiera tagliata a metà, che cresce sul suolo sorretta dall’aria di un semplice ventilatore – è una performance che risemantizza e risposiziona. La scuola esce dai suoi confini e si riversa in città, creando ponti, sbordamenti e cortocircuiti, in uno spazio del possibile, dell’inaspettato.
E’ IgludevenTOPIA, il lemma creato dallo stesso Jordi Enrich, ora parte del dizionario: “uno spazio nomade, dalle origini riciclate. Un non-luogo senza significato, che si installa in uno spazio simbolico della città, per riunire la città e ripensare esteticamente il mondo che immaginiamo“.
In questa bolla colorata, nei giorni del lab, avviene una alchimia.
Gli studenti si appropriano del dizionario e della possibilità di creare linguaggio: un atto di liberazione e di potere. Spontaneamente iniziano a distribuire le card nelle classi, spiegano il progetto ai loro colleghi. Ogni giorno, nell’Iglu de Vent arrivano decine e decine di nuovi lemmi, si discute di politica delle interfacce, dei confini di una geografia digitale, psicologica, immaginaria e del futuro del progetto.
L’ultimo giorno, di comune accordo, lo dedichiamo proprio a discutere il futuro (anzi i futuri) del progetto e a prepararsi per la conferenza stampa, di modo che ognuno possa rappresentare ed esprimere il suo pezzo di UTopia.
Ne emerge un quadro complesso e due istanze principali:
Le parole create durante i laboratori intanto hanno preso corpo.
Da un lato, i lemmi vengono inseriti nella piattaforma. Dall’altro, vengono disegnati su cartelloni 70×100 da disseminare nelle strade per i giorni di Materadio.
Le utopie dei ragazzi sono ubique: online, offline, materiale primario che andrà a comporre il rituale.
Anche il lab delle parole vede un piccolo team conoscersi sul campo e collaborare per la prima volta: Emmanuele Curti e Oriana Persico (La Cura/Art is Open Source) si occupano dei contenuti, del coordinamento e delle relazioni con gli studenti; Jordi Enrich (Iglu de Vent), Francesco e Daniele Ruggieri (Murgia Madre) delle parti architettoniche.
Sabato arriva in un turbine, fra gioia, stanchezza, fisiologiche tensioni.
Venerdì è già performance, con la conferenza stampa realizzata nell’Iglu de Vent. Alle 12 arrivano compatti gli studenti, accompagnati dalla preside e dai docenti: è il momento della rappresentazione pubblica, microfono in mano.
Anche la “U” è pronta e fa il suo ingresso in città, arrivando in tempo alla conferenza stampa in autostop: l’incredibile calore del Sud grazie al quale puoi fermare un camion in strada e chiedere un passaggio…
Siamo pronti per la performace: una processione che culminerà nella distruzione rituale della “U” per celebrare le UTopie ritrovate.
Subito ribattezzata UParade da Tommaso e Guglielmo, la processione parte dal Museo Ridola per arrivare a Piazza S. Giovanni che, alla fine del concerto di Campogrande, sarà il teatro dell’azione.
Ad aiutarci i performar Nadia Casamassima e Andrea Santantonio, e la loro Compagnia dello IAC – Cetro Arti Integrate.
Nel tragitto, che dura circa un’ora e mezzo, ci fermiamo presso bar, piazze, negozi, parliamo con le persone, chiediamo loro di leggere e inserire le card con i lemmi all’interno della “U” utilizzando le apposite fessure.
Si crea un piccolo corteo, alcuni lemmi vengono prodotti lì per lì durante la processione: UTopie di strada.
Intorno alle 19.30 la “U” viene posizionata davanti al portone dell’Ex Ospedale di S. Rocco, la cui facciata è stata scelta per il projection mapping.
La scultura resta quiescente durante tutto il concerto di Campogrande, mentre la piazza è ormai gremita di persone. Una leggera pulsazione attraversa la scultura, mentre sullo sfondo si staglia la costellazione delle nuove parole generate durante i lab.
Un cielo di parole…
A concerto finito, inizia l’epica in 4 atti che è stata concepita nel quartier generale di UTopia, al Conservatorio E. Duni: la “U” si manifesta nel mondo, mano mano cresce fino a rompere l’equilibrio del suo stesso universo.
Le costellazioni di parole iniziano a crollare…
Fin quando non entra in scena “Topia”: la possibilità di ritrovare i luoghi e un nuovo dispositivo generativo di linguaggio.
Per la “U” è la fine, ma è anche un inizio.
Spostata dal suo piedistallo, la “U” si fa strada nella piazza, le persone creano un cerchio intorno a lei.
Un silenzio breve precede lo squillo di una tromba: Eustachio Barbaro, che da 30 anni dà il via allo strazzo del Carro della Bruna con quella stessa tromba, celebra la distruzione e la rinascita di Utopia.
Il mood della piazza muta immediatamente: il richiamo è leggibile, l’atto perfettamente decodificabile per i materani anche se nessuno ha mai visto la “U”.
Si aspetta solo che la tromba sancisca il momento: “strazzare”.
Ci avventiamo sulla “U” dalla quale iniziano a fuoriuscire le card con le parole scritte in quei giorni. UTopie dei ragazzi di Matera che scivolano di mano in mano, mormorate, rubate, qualcuno cerca la propria per riportarla a casa.
Il rito si è concluso.
18 minuti di performance che hanno mischiato immagini, suoni e corpi, tecnologie e tradizioni popolari, giovani e anziani, Matera e il mondo, saldando il corpo linguistico e digitale del dizionario al corpo umano e architettonico della città.
Un rituale ubiquo e sincretico che possa vivere, evolvere e rigenerarsi ogni anno, facendo di Matera la capitale delle utopie ritrovate.
O , rubando l’incipit del dizionario UTopia, “il luogo dei desideri e dei significati costruiti dalle comunità“.
PS
Intanto, dovunque ci troviamo, possiamo aggiungere nuovi lemmi a questa opera connettiva e collettiva.
UTopia è un progetto ideato da:
La Cura; AOS – Art is Open Source; Emmanuele Curti
Main Partner:
Fondazione Matera-Basilicata 2019
in collaborazione con:
Radio3/Materadio; Concrete425; Materelettrica/Sc
Fabrizio Festa, Antonio Colangelo, Marcello Laquale, Tommaso Cappelletti, Guglielmo Torelli, Patrizia Di Franco, Camilla Spada, Maristella Saponaro, Genny Adessa, Irene Sandri, Antonia Demma, Mariagrazia Riccardi, Martina Albanese, Angelica Giustizieri, Anna Iandoli, Enrico Antodaro, Girolamo Calculli, Elena Chierico, Kheireddine Guellour, Francesco e Daniele Ruggieri.
Di Tommaso Cappelletti (Concrete425/Nefula-DOCU), clicca per esplorare questo bellissimo album: