paura precaria

Graziano Cernoia

PAURA PRECARIA

Il medico ai piedi del mio lettino si arrende, convincendosi che con

me non c’è nulla da fare.

Nonostante abbia in corso una aritmia atriale importante, che nemmeno

la terza flebo di potassio riesce a frenare, non demordo dall’intento

di uscire dall’ospedale.

Mi agito quasi forsennatamente, l’adrenalina non scende e blocca la

ripresa, L’ansia di non poter raggiungere l’aeroporto, di perdere

due turni di lavoro e lasciar la mia mansione scoperta, con chissà quali

conseguenze, tiene alto il livello di stress, il battito non si

raddrizza.

Per fortuna il dottore è simpatico.

Lo vedo uscire nel corridoio e confabulare con la caposala, tenta di

essere serio, quasi drammatico, ma sotto sento che gli scappa da

ridere. Io intanto ne approfitto e con il telefono faccio un filmetto

al mio torace, attaccato allo schermo che segna i parametri vitali.

Centoventi, sessantatre, trentadue, centocinque, ottantotto.

Come in una estrazione del bingo, gli intervalli del battito cardiaco

si susseguono alla cazzo, mentre dentro al petto sento una farfalla

sbattere le ali, all’altezza della bocca dello stomaco.

“Lei non accenna a calmarsi, io di certo non posso darle una

martellata in testa… forse sarebbe l’unica soluzione, ma non

posso…”

Ha capito perfettamente che con me non la spunta e ha già

l’alternativa. Lo percepisco da una certa soddisfazione che gli

pervade l’espressione del viso. E’ un buon medico, risolve in fretta,

me lo sento.

“Ci sarebbe un alternativa, forse drastica, ma in fondo si tratta di

un semplicissimo intervento di routine… unica promessa che desidero

da lei, per venirci incontro, di accettare quattro ore di osservazione

dal risveglio, poi la visita finale e la dimissione. Spero sia

fortunato.”

Comincia a descrivermi l’intervento.

Vogliono praticarmi una cardioversione, con il defibillatore.

Un quarto d’ora in anestesia totale, cento watt sparati nel petto, la

scarica che ferma il cuore per poi ripartire a ritmo.

Sarò morto per un istante, un’infinitesima parte dell’esperienza del

trapasso, davvero affascinante!

Accetto di buon grado e firmo la liberatoria, l’assunzione di responsabilità.

Sento la caposala dalla guardiola che, al telefono, conferma la sala

per l’intervento.

L’anestesista ha gli occhi azzuri, sgranati, sembra in trance.

Un bel ragazzo dalla barba leggermente sfumata.

Parla con voce profonda e armoniosa, come del resto armoniosi sono i

movimenti delle sue mani mentre infila aghi e collega tubi.

Gli confesso di essere spaventato, mentre lo vedo caricare nella

siringa il Propofol color latte. Al mio fianco, davanti l’altro

lettino della sala di pronto intervento, due carabinieri sorvegliano

un anziano signore con la pancia bucata, penso da una coltellata.

Rido.

“E’ normale che tu abbia paura, sono qui anche per questo” dice

premendo lo stantuffo.

Ecco!

Buddha, dagli occhi sgranati e azzurri, Mi parla.

Poi l’onda di piena, mentre il corpo e la mente esplodono in un fuoco

d’artificio silenzioso, gradevole, di mille colori.

Il petto è percorso da lampi di luce, come anche l’infinito davanti

agli occhi, da cui partono brividi di piacere.

Poi il buio.

E il torpore.

Suadente e morbida, una voce mi avverte, mi invita a rispondere, la

voce del dottore del pronto soccorso, mi dice che l’intervento è

riuscito.

Sento il bip delle macchine, regolare.

Guardo il display, segna ottantotto battiti al minuto, perfetto.

Sono salvo, posso correre a prendere l’aereo.